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La Valutazione del rischio: prova esame finale

By 2 Aprile 2019 No Comments

PRESENTAZIONE DEL CASO
La signora C., 51 anni, si presenta alquanto curata nell’aspetto, leggermente in sovrappeso e con un
atteggiamento inizialmente remissivo; si rivolge allo Sportello Rosa della Medicina del lavoro
(AOU Policlinico Federico II Napoli) presso cui lavoro per effettuare un percorso di sostegno
psicologico.
Sebbene lo sportello sia destinato più specificamente a situazioni di violenza o disagio vissuto dalle
donne sul posto di lavoro, dopo avere ascoltato la storia della donna decido di effettuare comunque
la presa in carico, in quanto psicologa operatrice da molti anni presso il CAV gestito
dall’associazione Le Kassandre. C. infatti non lavora, se non come casalinga e dichiara uno stato di
sofferenza fisica (fibromialgia, insonnia, stati d’ansia, deflessione del tono dell’umore).
C. racconta di un tentativo di suicidio avvenuto circa due mesi prima, in cui si è recata alla stazione
ed ha provato a lanciarsi sotto un treno. L’ha frenata la telefonata della figlia che le ha fatto
riprendere contatto con la realtà e tornare sui suoi passi.
LA STORIA DI C.
La mamma di C. conosce suo padre presso la fabbrica di proprietà di lui in quanto sua operaia. Il
padre, di circa 20 anni più grande della madre, aveva già una sua famiglia che lascia per la madre di
C. Dopo pochi anni dalla nascita di C. e dei suoi due fratelli minori, la fabbrica del padre va in
fallimento e la madre di C. comincia a lavorare come sarta in proprio per mantenere la famiglia. C.
la descrive come una madre molto severa e dedita al suo lavoro che dà poco spazio alle sue richiesta
di attenzione

Il padre di C., già alquanto anziano si ammala (problemi respiratori) quando C. ha circa 10 anni e
muore quando C. ne compie 13. Lo descrive come un padre affettuoso, ma lo ricorda debole e
malato.
Dopo la morte del padre, la madre di C. deve lavorare ancora più intensamente. Gli anni
dell’adolescenza di C. sono pertanto descritti come un periodo in cui si dedicava principalmente alla
casa ed ai fratelli, tanto da non riuscire a terminare i suoi studi.
Purtroppo quando C. compie 17 anni anche la mamma si ammala di cancro, e nel giro di qualche
mese muore. C. segue la mamma durante la sua degenza e si occupa di tutti gli aspetti medici e
della sua assistenza.
Dopo la morte della madre C. e i due fratelli vengono affidati ad una zia che fa loro da tutrice.
Purtroppo anche in quella situazione a C. vengono assegnati compiti di gestione della famiglia della
zia, che ha 5 figli, rinunciando alle sue esigenze di adolescente. Gli unici momenti che considera
positivi di quel periodo sono quelli che trascorre presso la casa di altri zii in campagna, dove sente
di poter essere figlia. Si reca lì durante l’estate e ci trascorre dei mesi, fino a quando lo zio non fa
delle avances su di lei a cui reagisce con la fuga e non tornando più lì.
Dopo qualche tempo C., ormai stanca della situazione vissuta dalla zia, si trasferisce a casa di
un’amica, Carmela, e comincia a fare piccoli lavoretti saltuari. In quel periodo comincia la sua storia
con Bruno, il suo grande amore, che però dopo tre anni si conclude per scelta di lui.
Durante il periodo successivo C. soffre molto per questa separazione ed è allora che conosce A.
quello che sarà il suo futuro marito.
La vita in coppia
C. conosce A. a casa dell’amica, è suo cugino, e conosce bene la sua storia: A. viene da una famiglia
che non è vista di buon occhio dagli altri membri della famiglia allargata. Sono considerati da tutti
come molto egoisti e chiusi. La madre di A. viene considerata come una donna molto fredda e
cattiva, il cui matrimonio è stato combinato dalla sua famiglia d’origine.
A. lavora come carpentiere ed è considerato un donnaiolo. Comincia una corte serrata a C., la quale
inizialmente, consapevole della sua storia familiare e ancora sofferente per la fine del suo amore
precedente, non ne vuole sapere niente di lui.

Tuttavia dopo qualche mese l’insistenza di lui viene premiata. C. cede alle lusinghe e cominciano ad
uscire insieme…….
C. racconta che già durante il fidanzamento A. si dimostra geloso e possessivo nei suoi confronti. In
alcuni momenti fa insinuazioni su di lei, la accusa di essere una donna facile, di avere altri uomini.
C. si giustifica dicendo di essere solo una persona socievole.
Il matrimonio
Una volta sposati C. va a vivere nella casa di A. in una palazzina di proprietà della famiglia di lui.
I suoi fratelli, ciò che rimane della sua famiglia, si trasferiscono a Modena e C. vive a stretto
contatto con la famiglia di A. Nel frattempo C. non lavora e si dedica alla famiglia. Hanno due
figli, un maschio ed una femmina. A. si mostra sempre più come un uomo chiuso e diffidente e con
momenti in cui vive, in corrispondenza dell’incertezza lavorativa, periodi di profondo sconforto.
Il rapporto di C. con la suocera è conflittuale, mentre si affeziona al suocero che dopo qualche anno
si ammala e muore. Gli anni successivi alla morte del suocero sono gli anni dell’incubo per C.
Durante il matrimonio e dopo la nascita dei figli la gelosia, infatti, il possesso e la violenza
psicologica esercitata da A. sin dal loro fidanzamento, si trasformano in quali anni, anche in episodi
di violenza fisica. Dopo la morte del suocero, dunque, e per i tre anni successivi, sono anni di
terrore: tutte le volte che C. esprime dei tentativi di autonomia e di indipendenza, oppure si rifiuta
di avere rapporti sessuali con il marito, A. la riporta nel “guscio” con le sue violenza, giustificate da
gelosia e possesso, che la inducono ad isolarsi sempre più. Durante quegli anni C. subisce, quasi
quotidianamente, violenze sia fisiche che sessuali dal marito, a cui assistono anche i suoi bambini
(che allora avevano 3 e 4 anni). Il maschietto, L., a sua volta viene spesso picchiato dal padre, in
modo ingiustificato, soprattutto quando prova a difendere la mamma. C. dichiara che il marito in
quegli anni sembrava “impazzito”. Nello stesso periodo C. riceve anche una violenza da parte della
suocera: un giorno la picchia con un bastone. In quella circostanza C. decide di denunciare la
suocera, anche se poi la ritirerà, ed il marito sostiene la moglie contro sua madre. In quel periodo
C. sente ad ogni modo di non poter fermare quella situazione: quando il marito usa violenza cerca
di calmarlo o di cedere alle sue richieste sessuali il più possibile. Non lo denuncia e subisce questa
condizione rimanendo al suo posto senza esprimere alcun esplicito dissenso, rinunciando
definitivamente ad una propria autodeterminazione.

La crisi
C. dichiara che la prima crisi avviene quando, dopo la nascita del secondo figlio, rimane incinta. In
quella circostanza il marito si oppone fortemente alla possibilità di tenere il bambino, anche perchè
preoccupato per la sua situazione lavorativa. La accompagna dunque in clinica per effettuare
l’aborto, ma rimane in macchina ad aspettarla. C. racconta il momento dell’aborto come una ferita
aperta: il ritrovarsi da sola in quella situazione la fa sentire disperata. Comincia a sentire un
profondo odio per quello a cui il marito l’ha costretta a fare, ma continua a sottostare a lui. Solo
allora il marito placa la sua ira e pone fine alle violenza fisiche: quando assiste alla palese
sofferenza di C. Continuano per anni i litigi e gli episodi di violenza psicologica, ma A. non usa più
violenza sessuale e fisica.
Dopo qualche tempo, quando i figli erano oramai quasi adolescenti, C. racconta che durante un
pranzo organizzato con un’amica in crisi di coppia, il marito, che aveva bevuto un pò, comincia ad
alludere allegramente, anche d’avanti ai figli, a presunti tradimenti avvenuti nel corso della vita
matrimoniale.
A questa dichiarazione C. esplode: a questo punto gli episodi di violenza, l’aborto, con l’aggravante
di presunti tradimenti e di una generale sensazione di trascuratezza da parte di lui, diventano un
macigno insopportabile. Prende in considerazione l’ipotesi di lasciare il marito, si rivolge ad un
avvocato e progetta di andare via per raggiungere i fratelli a Modena. Il marito reagisce negando i
presunti tradimenti e chiedendole di non lasciarlo: non si comporterà più così, si dispera, la implora.
C. rientra dalla sua crisi e programmano insieme di trasferirsi al nord. I figli avevano entrambi
deciso di cercare lavoro a Modena appoggiandosi agli zii, così A. e C. li accompagnano ed A. trova
la possibilità di lavorare per un’Azienda del nord.
Con la vicinanza dei suoi familiare ed in contatto con una mentalità più aperta, C. si concede
qualche uscita in più con le amiche e si sente più allegra e spensierata. Inizia anche a lavorare come
operaia in una fabbrica. A. reagisce molto male a questo cambiamento della moglie. Ricominciano
le insinuazioni, le offese, le gelosie…..Questa volta C. non è disposta a sopportare, dichiara che era
“esasperata”. Si rivolge ad un avvocato: è decisa a separarsi.

Il ritorno
Di fronte alla decisione della moglie A. reagisce “stranamente” con freddezza, inizialmente. Si
dichiara disposto a separarsi e offeso per la decisione presa dalla moglie. C. appare sconcertata dalla
reazione del marito: non immaginava che avrebbe reagito così. Tuttavia continuano a stare insieme.
C. si sente meglio, appare più sicura di sè. E’ allora, due anni fa, che si ripete un ulteriore episodio
di violenza fisica legato ai soliti motivi di gelosia e possesso: A. picchia C. stringendole le mani al
collo. C. non reagisce e molla la presa chiedendole perdono. C. ritorna quindi sui suoi passi e, una
volta terminato il contratto di lavoro di lui, decidono di tornare insieme a Napoli, lontani dai
familiari di lei, dai figli e da quella vita troppo libera…..
A Settembre 2017 ricominciano la loro vita di coppia a Napoli, nella casa della famiglia di lui. C.
dichiara di essere stata felice di tornare, che al nord la gente si comporta in modo troppo dissoluto,
che i costumi sono diversi dai nostri ed il marito era sempre arrabbiato.
Ora sono rimasti da soli, come due giovani sposi. Ma C. soffre del fatto che il comportamento del
marito, da quando due anni prima lei aveva deciso di rivolgersi ad un avvocato, è cambiato. Ora è
più freddo con lei, non è più sicura che lui la ami. Spesso le rinfaccia quello che allora ha provato a
fare, facendola sentire in colpa e giustificando così il suo allontanamento emotivo.
Adesso C. trascorre le sue giornate aspettando il marito, accompagnandolo al lavoro, qualche volta
incontra qualche amica…..intanto soffre di fibromialgia che non la fa dormire la notte e ricerca
continue conferme dal marito. Il tentativo di suicidio, avvenuto due mesi fa, fu a seguito
dell’ennesima volta in cui si era sentita trascurata da lui.
LA RICHIESTA DI AIUTO
C. dichiara di aver richiesto un aiuto psicologico perché si rende conto che il gesto che ha fatto è un
segnale di disagio. Da allora il marito si è mostrato più attento nei suoi confronti, è più sensibile alla
sua sofferenza. Durante i colloqui C. appare come una bambina disorientata, bisognosa di mettere
insieme i pezzi della sua storia e di essere vista con le sue ferite. La sua dipendenza dal marito in
questa fase appare totale ed anche qualunque tentativo di lavorare su una sua eventuale autonomia,
anche economica, appare qualcosa di impossibile a cui accedere.

E’ la prima volta che C. decide di chiedere un aiuto psicologico, in passato ha cercato di cavarsela
da sola o con aiuti sporadici di amici e parenti. Lo ha sentito ora forse perché intuisce che qualcosa
si è rotto o si può rompere in lei, nella coppia, nella dinamica di dipendenza…..Il suo corpo
dolorante, il tentativo di morire compiuto, l’hanno costretta a questo punto a guardare la realtà ed a
chiedere un aiuto per farlo, forse perché è diventato tutto troppo doloroso. Tuttavia l’angoscia di
abbandono e la paura di trovarsi di fronte a persone che non si prendano cura di lei è una sensazione
troppo presente in C. perché inevitabilmente vicina all’esperienza di vita da lei vissuta. E’ per
questo che decido di accogliere la sua richiesta di aiuto, sebbene il servizio non sia specificamente
destinato ad affrontare le problematiche da lei esposte. Ho sentito di non abbandonare C., e di
offrirle uno spazio di ascolto presso un servizio pubblico che potesse consentirle una presa in carico
a medio termine a costi contenuti (considerando che i servizi di psicoterapia pubblici presenti sul
territorio campano sono pochi e l’invio ad un CAV, oltre a non essere opportuno a mio avviso in
questa fase, non avrebbe garantito una presa in carico psicologica prolungata). Abbiamo finora
effettuato 6 colloqui e C., dopo averne saltato uno per un litigio con il marito (una crisi di gelosia da
parte di lei), si è dichiarata decisa a continuare.
LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO
In diversi momenti della storia sarebbe stato opportuno effettuare una valutazione del rischio,
tuttavia solo ora C. ha deciso per la prima volta di chiedere aiuto: sin dai primi anni della relazione
con il marito C. ha cominciato a subire violenza psicologica che ha fortificato il suo legame di
dipendenza patologica a fronte di una personalità fragile costruitasi a partire da una storia familiare
dolorosa. Durante gli anni successivi alla morte del suocero, in quegli anni gli episodi di violenza
fisica sia nei suoi confronti che di quelli del figlio ci danno l’idea della presenza di rischio estremo.
Anche a seguito dell’ultimo tentativo di separazione, quando il marito le ha messo le mani al collo,
C. si è trovata in pericolo. queste sono situazioni in cui sarebbe stata necessaria la denuncia, che
tuttavia non c’è mai stata.
Trattandosi di una storia di violenza di lunga durata, ci troviamo di fronte a fattori di rischio
dinamico che sono mutati nel tempo ed in corrispondenza delle fasi di vita della coppia: ipotizzo
che durante l’infanzia dei figli ad es. C. abbia vissuto in una condizione di maggiore sottomissione
al marito, mentre al contrario nelle fasi di maggiore “libertà” di lei, ovvero di minori impegni

familiari, i comportamenti violenti di lui siano stati più frequenti. Allo stesso tempo l’incertezza
lavorativa di lui è sicuramente stato ed è un fattore di influenza delle crisi violente e di possesso
esercitate nei confronti della moglie.
Gli aspetti quali l’isolamento attuale della coppia, lo stato di fragilità psicologica di lei, la sua
malattia (fibromialgia), che da circa due anni l’ha resa ancora più dipendente, fanno pensare che
finché C. resta in uno stato di sofferenza e sottomissione il rischio di violenza resta medio-basso,
tuttavia una condizione di rischio elevato potrebbe verificarsi in corrispondenza di una maggiore
consapevolezza e benessere da parte di C.: ed in questo momento, per la prima volta, C. ha deciso
di chiedere aiuto. Vanno tuttavia considerate le evidenti vulnerabilità della signora e le sue scarse
risorse per cui che valuto un’alta possibilità di una rivittimizzazione e di recidiva, considerando i
precedenti della storia e la sua dinamica.
Questa considerazione viene dalla somministrazione del SARA e del SARA PLUS effettuati per la
valutazione del rischio essendo il trattamento della signora ancora in corso.
Da tali somministrazioni sono evidenti fattori di rischio e di vulnerabilità che proverò ad illustrare
di seguito.
I fattori di rischio evidenziati attraverso gli strumenti utilizzati ed allegati risultano elevati a lungo
termine, ovvero proporzionalmente all’aumento di consapevolezza della propria condizione da parte
di C. Tuttavia al momento il rischio sembrerebbe essere medio:in questa fase C. si trova in una fase
di completa sottomissione, dipendenza emotiva ed economica e di isolamento dai suoi familiari.
Intanto A. sta vivendo una fase lavorativa precaria, e questo rappresenta certamente un fattore di
rischio, tuttavia è attualmente preoccupato per il gesto compiuto dalla moglie e tranquillizzato dallo
stato di sofferenza psichica e fisica espresso dalla moglie. Va considerato ad ogni modo che l’avvio
del percorso psicologico, ed un conseguente auspicabile maggiore benessere di C, potrebbe
rappresentare un fattore di rischio.
I fattori di vulnerabilità sono evidenti da subito: la storia di C., caratterizzata da abbandoni e da
abusi da parte di figure di riferimento, la rende una persona estremamente fragile e bisognosa di un
riferimento affettivo che tuttavia vive in modo ambivalente. La dinamica di possesso messa in atto
dal marito ha pertanto trovato spazio in questo suo bisogno rendendola totalmente dipendente da
lui. I pochi tentativi di separazione e autonomia messi in atto da lei nel passato hanno innescato in
C. la paura e la colpa di poter essere l’artefice di un ulteriore abbandono da subire nella sua vita in

nome del quale è disposta a subire qualunque cosa. A questo si aggiunge l’attuale condizione di
isolamento anche dai suoi affetti più prossimi oltre che la mancanza di autonomia economica.
Eppure la sofferenza espressa da C. è iscritta nel suo corpo (fibromialgia) e nelle sue emozioni
(depressione). C. si sente bloccata dalla sua malattia ed è bloccata nella relazione: la sua sofferenza
la salva dalla separazione dal marito e la tutela dalla sua violenza.
Attualmente esprime una grossa paura che il marito possa lasciarla e tradirla con un’altra donna.
Dal
questionario ISA autosomministrato da C. emerge una situazione di rischio elevata (profilo
ARANCIONE
), che C. tende a minimizzare: non ha nessuna intenzione di separarsi dal marito, pur
considerandolo artefice di tanta sua sofferenza, tuttavia si dichiara disponibile a proseguire il
percorso psicologico e a non sottovalutare i comportamenti violenti del marito.
LA GESTIONE DEL RISCHIO (In allegato slides in power point)
Il primo lavoro da fare con C. è quello di offrirle un luogo sicuro in cui possa fidarsi e non sentirsi
giudicata. Un lavoro psicologico, dunque, finalizzato a curare le sue ferite e cercare di renderla
protagonista della sua vita. A seguito di questo sarebbe auspicabile effettuare un invio presso un
CAV in cui indirizzare l’intervento, oltre alla consulenza legale per renderla consapevole dei suoi
diritti, soprattutto su orientamento al lavoro e partecipazione a gruppi di auto aiuto, azioni queste
finalizzate al rinforzamento delle proprie risorse e consapevolezze oltre che a trovare un confronto
con altre donne che abbiano vissuto esperienze simili alla sua. Per identificare il piano migliore di
rischio mi immagino una media probabilità di rivittimizzazione e recidiva con una alta gravità della
violenza, considerando che la reazione del marito, di fronte ad una ritrovata autonomia della
moglie, potrebbe essere distruttiva. In tal caso andrebbero messe in atto tutte le misure atte ad
arginare la violenza di lui:
DENUNCIA: nell’eventualità di un rinnovato comportamento aggressivo e violento.
TRASFERIMENTO IN CASA RIFUGIO: tale possibilità potrà essere considerata nell’eventuale
difficoltà riscontrata da C. a trasferirsi al nord dai suoi figli e familiari.

Qualora l’allontanamento dal partner fosse in altro contesto le azioni da perseguire sarebbero, in
entrambi i luoghi, comunque:
PRESA IN CARICO PSICOLOGICA PROLUNGATA: è necessario che le azioni di
allontanamento o separazione dal coniuge vengano adeguatamente supportate per arginare il rischio
di recidiva. E’ importante che C. non si senta di nuovo sola e abbandonata nell’affrontare questa
situazione.
SUPPORTO LEGALE: per tutte le fasi di fuoriuscita dalla relazione
Sarebbe inoltre da proporre:
INSERIMENTO LAVORATIVO:possibilità di essere inserita in contesti lavorativi a Napoli o fuori
Napoli, così da favorire la sua autonomia.
TRATTAMENTO per l’autore di violenza: eventuale una presa in carico presso un CAM o un CSM
considerando la tendenza di A. a vivere fasi depressive.